«...Eppure quando guardo indietro alle generazioni passate, ai loro sogni, ai loro crucci, alle loro speranze, e davanti agli occhi mi scorrono i volti di quei giovani strani, alcuni allegri e spensierati, altri attraversati dall'ombra cupa della sciagura, non vedo dipanarsi la storia frivola di un trastullo, di uno sport; vedo qualcos'altro che forse ancora non ho compreso fino in fondo, ma che sono forzato a temere e a rispettare; e penso all'alpinismo, a ciò che è stato e in parte è ancora: una lenta processione di votati alla morte, che procede verso le montagne e ne percorre i tragitti verticali, un grande moto epocale, oscuro e angosciante, in cui si mescolano trionfi e disperanti sconfitte, un anelito senza chiarezza e consapevolezza a qualche cosa di tremendo ed esiziale, quasi mai di liberatorio.
Allora, difronte a tutto questo, mi pare di dover restare in silenzio, anche dentro di me in silenzio, e di vedermi, per umana appartenenza, affluire anch'io in quella processione, in quel moto: rivolto a un'altra montagna, con gli occhi che inseguono un altro tragitto, ma associato in profondo a quello stesso anelito.»